Sol LeWitt. La concettualità del disegno

Autori

  • Paolo Belardi Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale, Università degli Studi di Perugia, paolo.belardi@unipg.it

DOI:

https://doi.org/10.26375/disegno.2.2018.4

Abstract

Nell’archivio dell’Accademia di Belle Arti “Pietro Vannucci” di
Perugia sono conservati due fax memorabili: memorabili sia
perché sono firmati da due personalità di chiara fama (Sol
LeWitt e Bruno Corà) sia perché, solidalmente, restituiscono
un vero e proprio manifesto teorico capace di sanare la frattura
che separa tradizionalmente l’architettura e la storia dell’arte
sotto l’egida del disegno inteso come forma di pensiero.
Nel primo fax, datato 22 marzo 1995, LeWitt (all’epoca residente
per lunghi periodi a Spoleto) preannuncia all’amico
Bruno Corà (allora docente di Storia dell’Arte in Accademia)
l’invio della maquette di un’opera concepita appositamente per
Perugia [1]: un “open cube” (il solido più amato da LeWitt [2])
che, in quanto parte del progetto espositivo Città e Arte, volto
a innestare opere virali nei luoghi-simbolo della città extra
moenia, è destinato a far mostra di sé nel portico del grande
edificio pubblico realizzato negli stessi anni da Aldo Rossi lungo
il lato occidentale della piazza Nuova di Fontivegge [3].

Riferimenti bibliografici

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Zevi, A. (ed.). (1994). Sol LeWitt: testi critici. Roma: Libri di AEIOU.

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Pubblicato

2018-06-30

Come citare

[1]
P. . Belardi, «Sol LeWitt. La concettualità del disegno», diségno, vol. 1, n. 2, pagg. pp. 17–18, giu. 2018.